The Borno missions

9-6-1710 Carlo Maria di Genoa to P.F. — S.O.C.G., vol. 573, 41r-v

Per via di Malta sotto li 14 del caduto mese con una mia, riveren.te baccai il lembo della sac. porporo: a Sua Eminenza assieme auisandoLa che stante la partenza fatta da questo Regno dell Bassá scaciato s'era di nouo rimessa la strada dal Fessano, e ch'nel mese uenturo ch'é il cor[ren]te sarebbe partita la carauana, con occasione che me si rapresenta per via di Livorno, auiso Sua Eminenza che mediante Iddio e l'assistenza del Signore Francesco Passinelli mercante Uene[ta]no stante l'agiustato fatto con il Bey del Fessano Sidi Joseph Ell(M?)ochini io parto per quel Regno et il Padre Seuerino da Selesia è già fuora di Tripoli con la robba per la partenza, quale spero che sará dimani essendo il solito di mezzo giorno. La sicurezza del viaggio mi uiene fatta del sudetto Ellochini, il quale per fauorire il supradetto Signore Francesco Passinelli e compire forse la seruitú ch'io l'ho fatto in medicarlo assieme con suoi figlij et altri del suo sangue mi manda con una sua carauana particolare passando in qualitá di medico per ritornare nelli paesi de negri doue una uolta sono stato. A qual ponto [sic, ="posto"] ne s'é arriuato senza senza [sic] speciale asistenza di Dio. Fatica e crepacuori, stante la qualitá del paese e di non essere ma[i] passati Christiani per quella strada, particolarmente religiosi, il ch'è publico. Sia laudato Iddio ch'ha protetto la sua causa dal che spero che proseguirá l'assistenza a salute dell'anime, ed a compimento della Chiesa sua Sposa.

Stante poi la diligenza usata in tal missione dal giá nominato Signore Francesco Passinelli stimerei bene constituirlo in qualtiá di Proc.re o sia Sindico Apostolico delle missioni assegnatemi a fine ch'occorrendomi qualche bisogno passa il medemo assistermi nel viaggio conforme m'ha assistito nella partenza, stante la bona corispondenza ch'tiene con la casa del nominato Bey e mercanti de quelli paesi, quale mio desiderio lascio alla compiacenza di Sua Eminenza e di cotesta Sac. Cong.ne.

Circa il Padre Atanasio di San Uenanzo continuamente indisposto lo lascio quá in Tripoli per attendere il resoluto della Sacra Congegazione. Io gl'ho datto il suo viatico e prouitione anticipata a ragione del denaro riceuuto quá consistente per sua parte zechini ueneti 89, un terzo de due con un terzo di quanto di Genoina, dalla qualle somma ha preso per suoi bisogni zechini 15. Dico quindici ueneti con obligo di renderne ragione a chi si deue, et il restante in somma di zechini ueneti 74 un terzo de due un terzo de Genoina m'l'ha riconsignato, qual denaro ho posto in mano del sopra detto Signore Francesco Passinelli a dispositione di sua Eminenza e della Sac. Cong.ne conformamente ne mandò la fede del detto Signore al Padre Procuratore acció possa esponerla a Sua Eminenza.

Da questo Padre Prefetto nel tempo della nostra dimora habbiamo solamente riceuuto la refetione com[mun]e. Ogni altro bisogno a miei compagni cosí infermi, come sani io l'ho proueduti secondo il mio debito e stato. Non altro m'occorre che dire à Sua Eminenza ch'ogni qual uolta mediante la grazia di Dio, saró arriuato in Fessano faró ogni diligenza se in Garoffa ui sono Christiani, del che sino a quest'hora non ho potuto sapere la certezza ferma, trouando il si, il non, e del tutto participeró con Lei la notitia inuiando le lettere per piú sicurata al sopradetto Signore Passinelli per il recapito, con che pregando Iddio per la bona conseruatione di Sua Eminenza Le ribaccio riuerentamente la sacra Porpora.

Tripoli di Barbaria, li 9 Giugno 1710
Humilissimo & Obligatissimo Seruo
Frá Carlo Maria di Genoa, Prefetto di Burno


9 6 1710 Francesco Passinelli: Receipt — S.O.C.G., vol. 573, 42

Il 9 Giugo 1710, Tripoli di Barbaria

Hà ricepto il Signore Francesco Passinelli dal molto Revuerendo Padre Carlo Maria di Genoua Prefeto del Brunò zechini uenetiani ..settantaquatro e due terzi, et un terzo di un quarto di Genouina d?ar??o qualli c'era per la pro[ui]tione del Padre Reuer. Attanazio di San Venantio, qualle mi ordina il supradetto Padre Prefetto di tenirli a disposizione della Sacra Congregatione di Roma_ inu..?? ual_ _ _di 74 2/3

Francesco Passinello [??..]


18-8-1710 Propaganda Fide on Carlo Maria da Genoua — S.O.C.G., vol. ??, 14

18 Agosto 1710            Affrica

Il P. Carolo Maria da Genoua Minore Osservante Riformato Prefetto della Missione del Bornò con lettera delli 9 di Giugno passato ragguaglia l'ora della sua imminente partenza da Tripoli de Barbaria alla sua missione, doue dice d'auere il giorno antecedente incaminato il suo compagno con tutte le robe loro.

Scriue d'auer consegnato circa a settantacinque zecchini ad un tal Francesco Passinelli, mercante che ne manda la riceuuta, e q[uali] sono i denari che aueua auuto da questa Sacra Congregazione per il P. Attanasio di S. Venanzio, che lasciò in Tripoli per le sue indisposizioni, le quali anco ottenne licenza di tornare alla sua prouincia sotto li 18?? Ottobre 1709, dicendo anco d'auerli lasciati altri qundici zecchini per il suo ritorno in prouincia.

Supplica poi, che si deputi Procuratore e Sindico delle missioni del Bornò il Signor Francesco Passinelli del quale molto si loda.

Sopra di che deuo dir'all'Eminenze Uestre essersi ciò anco pratticato con i missionari d'Etiopia sotto li 8 Febraio 1700 con desputare il Signore Nicolò Trulliardo, e del 1705 sotto li 6 di marzo il Sig. Stefano Berardi corresponsale in Egitto, rispetto però al pagamento delle prouisioni alli missionari hà uoluto la S. Congregazione che si paghino sempre qui al P. Procuratore delle missioni, come approuò anco sotto li 19 Gennaio 1700...

Die 18 Augosto 1710


17-10-1710 Carlo Maria di Genoua — S.O.C.G., vol. 577, 125r-v.

Sotto li 16 Agosto prossimo passato per uia di Tripoli di Barbaria scrissi da Merzek, reggia del Fezzano, a Sua Eminenza, manifestandole il mio saluo arriuo, per Dei gratiam, con il mio compagno in questo regno, che fú li 26 di Luglio ultimo scorso nel dominio, e nella città reale di 30 Settembre, doue fui bon riceuuto cosí dal popolo come dal ré, il quale ci fá bene. Già che mi si presenta l'occasione per uia del Cairo con questa mia umile, e riuerente baccio il lembo della sac. porpora a Sua Eminenza, auisandola come per la morte del ré defonto, padre del regnante, questo stato si troua in confusione, soleuatione e timore, temendo ch'il campo di Tripoli uenga ad impossesarsi del regno, comformamente per il passato ha fatto, per quale paura questo ré s'è partito da Merzek, et s'è rifuggiato in Taraghen, paese murato e di qualche sicurezza, doue per suo commando sono uenuti ad habitarsi li popoli di Merzek e de castelli circumuicini, tanto paesani come forestieri; et ancora io con il mio campagno sono uenuto per ordine del ré, il quale c'ha fauorito di habitatione, il che è non poco fauore, stante la moltitudine delle genti, la maggiore parte della quale habita in case fatte di palme. In questo sistema di timore uiue presentemente questo regno con speranza peró che li marebetin inuiati in Tripoli portino la pace. Quale stato è di impedimento a me si non podere inquirere per fare la douuta relatione di questa missione, secondo il stile preteso?? da codesta Sac. Congregazione a fine di non ponere le genti in qualche sinistro sospetto. Nullademeno ho inuiata al Padre Procuratore una relatione sucinta, acció la presenta a Sua Emenenza reseruandomi in tempo più di pace e senza sospetti la megliore notitia di questo regno.

Qua poi è arriuato con la carauana dalla Mecha il figlio del ré della natione nominata Tuargha per passare nelli suoi paesi verso li regni delli negri; andai a salutarlo, con partargli picciolo regalo di mediamenti, quale l'aggradí, e gli dimandai la strada, douendo passare nel suo stato per proseguire il mio viaggio. Esso benignamente mi accettó nella carauanna, e mi promisse la sicurezza ad esso possible. Onde spero alla sua partenza partire con il Padre Seuerino per Accadez, porta e chiaue delli regni de negri, a fine di passare in Garoffa, missione importante a cotesta Sacra Congregazione. Quando però haueró licenza da questo ré, senza della quale niuno bianco benche maometano non può passare nelli paesi de nigri. Io questa l'ho dimandata, e mi diede bona risposta; Iddio faccia presto la partenza per salute dell'animo. D'ogni fatto a suo tempo et occasione ne daró notitia a Sua Eminenza, alla quale umilmente riuerente ribaccio il lembo della sacra porpora, pregando il Signore per la di Lei bona conseruatione e salute, con che mi rafermo.

Fezzano da Taraghen li 17 Ottobre 1710
Humilissimo et indignissimo seruo
Frá Carlo Maria di Genoua, Prefetto di Bornó


14-10-1712 Francesco Maria di Sarzana to P.F. — S.O.C.G., vol. 586, 41r-42v

Per non mancare alla mia obligazione sono con questa mia à fare sapere à Sua Eminenza qualmente mediante la diuina dispositione l'anno 1711 mese d'agosto doppo longo e faticoso uiaggio il Padre M.Pr. Carlo Maria di Genoua, Prefetto della missione del Bornò, et il suo compagno missionario Padre Seuerino di Selesia di natione tedesca, in una terra o villa uicina al Sudam, capitale di quel regno, detta Cassinà, passorono da questa all'altra uita, con infermità causata da quelle acque maligne, e pestilentia là. L'infirmità del Pre M. Fra Carlo Maria durò 8 giorni e quella del suo compagno missionario Padre Seuerino durò 13 giorni doppo la morte del suo Padre Prefetto. o forse non sono morti con l'istesso male, e di dieci persone che dal Agades si messero in detta carauana per andare al regno del Sudam, uno sole è campato forse per portarne la nuoua. Gli altri mercanti sono tutti morti. Eminentissimo Signore, tutte queste relationi io le ho havutte da un moro mercante di Tripoli chiamato per nome Aggi Milleit, molto amico del sopradetto Padre Carlo Maria, quale gli è sempre statto fedele, cosa non solita à praticarsi da maumetani, ed è statto in sua compagnia in tutto il suo uiaggio, incominciando da Tripoli di Barbaria, sino al Fezzan, e dal Fezzano sino al regno d'Agades, e da Agades il sopradetto Padre Carlo Maria et il suo compagno, non essendosi potutti partire per il regno del Burnò, causa delli grandi pericoli che ui sono, intrapresero il uiaggio d'un mese verso le parti di Lebechio?? per intrare nel regno del Sudam, come in fatti si riuscì, ábenche non habbi potutto effetuare il suo intento.

Finalmente doppo 4 o 5 giorni doppo l'harriuo della carauana del Fezzano in Tripoli di Barbaria, à di 10 Ottobre ho hauutto fortuna di potermi abboccare con il sopradetto mercante moro Aggi Milleit, che sempre ha accompagnato gli sopradetti Padri, e senza addulatione alcuna me ha giurato supra la testa di Maomet, suo autore di religione, e mi ha detto che la morte de sopradetti Padri l'ha intessa in Agades da qual medemo che rissanò tra quelli sopradetti che andorono con gli sopradetti religiosi al regno del Sudam. Cioèche haruati al Sudam, capitale di quel regno, in una terra chiamata Cassinà, uno di quelli 10 che si messero in carauana si amalò, et il Padre Carlo Maria non tralasciò opperatione per risanarlo da quel male, che ogni trauaglio pure fu in uano, ad effetto di quelle acque uelenose che chi non ui è usatto fa gonfiare il corpo come alli hidropici, ed ogni forastiere che entra in quel regno ui lascia la prede. Di poi si amalò il sopradetto Padre Carlo Maria, e doppo 8 giorni spirò l'anima sua. E sicome il Turco fà il spoglio à tutti gli forastieri che moiono nel suo statto, così fece lo spoglio à tutto il bene del religioso morto; fu questo mentre il pouero Padre missionario, suo compagno, andò à quel commandante e gli dimandò detto bene per potersi sostentare, dicendoli che sui era compagno del morto, e che quel bene tutto era dell'uno come dell'altro. All'hora il commandante di Cassinà gli respose che se uoleua quel bene preso al suo compagno morto, si facesse Turco, in tanto il pouero missionario non acconsentì all'iniqua proposta, e si partì dalla presenza di quel barbaro commandante. Doppo pocco il Padre missionario supradetto si ammalà della istessa infermità del Padre Carlo Maria, e in 13 giorni spirò l'anima sua.

Di più ci dice il mercante moro Aggi Milleit sopradetto che in molte terre del regno del Sudam gli habitanti sono quasi tutti Christiani, ma che non osseruano ne ritto al modo, ne de Christiani, ne di moro, ne Turco, ne Giudeo, e che la città captiale della Sudam sono tutti maumetani e che in quel regno non ui si puole entrare senza pericolo di morte infalibilmente per l'infetatione dell'acque, e che tutti gli forastieri che ui uanno ui moiono, e morti che sono non se gli da sepoltura, essendo così constume, ma si portano fuori delle mure della città o terre et alla notte le tigri e leoni se gli uano à mangiare, et alla matina a penna ui si ritroua non le ossa; onde per saluarsi da li animali gli habitanti di quel regno sono constretti à serare gli loro paesi con muraglie, á ben che siano fabriche fatte di fango e terra.

Questa è la relatione che con ogni fedeltà io posso dare à Sua Eminenza, e si creda che io ne ho fatto ogni diligenza per saperne il fondo, e senza passione alcuna, ne coprimento, che sopradetto mercante Aggi Milleit mi ha narrato ogni cosa, anzi lui medemo cercaua à me per darmi nuoua con qualche dimonstranza di dolore uerso di detti Padri missionari morti, perche lui medemo, come io dissi di sopra, gli haueua accompagnati, e sopra tale affare io non ho che dubitare, perchè il defonto Padre Carlo Maria Prefeto del Burnò e suo compagno, l'anno 1710 à di 11 Ottobre ultime lettere scritemi, nelle medeme mi diceua che erra costretto intraprendere il uiaggio per la strada d'Agades per andare à Garolfa, non potendo andare al Burnó, stante gli pericoli che ui errano per la strada, e che non potendo colà fare niente haueua terminato di andare al regno di Garolfa, che pure credo che alla lingua moresca, sicome colà ui sono totalmente le lingue diuerse dall'Haraba; Garolfa uogli dire Sudam, oue sia finito gli suoi giorni in gratia di Dio. E dico qui in Tripoli gli ho fatti gli suoi suffraggi per l'anime loro, secondo che constuma la nostra Religione

Circa gli affari di questa missione di Sua Eminenza in Tripoli di Barbaria ogni cosa camina bene, e no ho da darle nuoua particolare; Tra Alexandria e Derna ui è statto il male contagioso, e ci ha datto molto da temere gli Barcarecci che da quelle parti sono uenuti qui in Tripoli, ma con l'haiuto di Dio, e S. Rocco glorioso nostro auocato, non ui è statto niente. Fra tanto faccio fine per non piu tediarla, ed in compagnia de missionari miei compagni le baccio la sacra porpora, col prigarle dal cielo ogni felicità e contento.

Tripoli di Barbaria 1712, à di 14 Ottobre
Humilissimo seruo e figlio
Fra Francesco Maria di Sarzana
Prefetto della missione


13-3-1713 Death notice of Carlo Maria di Genoa — S.O.C.G., vol. ?, 17

Affrica

R. Padre Prefetto nelle missioni di Tripoli di Barbaria con lettera delli 14 di Ottobre 1712 ragguaglia le Emminenze Uestre della morte del Padre Carlo Maria da Genoua, minore osservante riformato, Prefetto della missione del Bornò, e de Padre Seuario da Silesia, suo compagno, seguita nel regno di Sudam, ò Garolfa pochi giorni doppo il loro arriuo per la mala qualità dell'acqua, che non ui lasciano uiuere alcun forastieri. Per altro dice auer notizia che in detto regno sono molti Christiani, ma solo di nome, non operando ne il rito Cristiano ne il Turco, ne il moro, ne il Giudeo.

Die 13 Martij 1713
Rd. D. Secretarius cum P. Procuratore pro transmissione aliorum.
Scripsit ?? Athonar, Seg.


20-7-1710 P.F. ms found in a convent at Tripoli — In "Narrative of an expedition to explore the river Zaire, usually called the Congo, in South Africa, in 1816, under the direction of Captain J.H. Tuckey, R.N. - to which are added the Journal of Professor Smith, some general observations on the country and its inhabitants; and an appendix, containing the natural history of that part of the kingdom of Congo through which the Zaire flows," Quarterly Review, 36 (Jan. 1818), 335-379; this section is in a note on 374-5.

The following is a close translation of an extract from this curious manuscript:

1710, July 20th. - The before-mentioned Rev. Carlo Maria, of Genoa, prefect of Bornou, and Father Serafino, his companion, departed from Fezzan, leaving in Tripoli Father Anastasio, who, being unable, from infirmity, to prosecute the mission to Bornou, returned to Christendom, having embarked July 13th.

1711 - In the month of August Father Carlo, prefect of the mission to Bornou, not being able to undertake his journey in that direction, the passes being closed in consequence of the multitude of robbers and other impediments, set off from Fezzan accompanied by Father Sevarino di Salesia. They took their way together towards the kingdom of Agadez. Having at length arrived there, they found that the objects of the Propaganda could not be prosecuted there; and, having received intelligence that in the kingdom of Cassina they would have an opportunity of exercising their spiritual office, particularly in some village or other of that kingdom, but not in the capital, they set off in the name of the Lord, leaving the kingdom of Agadez. After a journey of a month with the caravan through the desert, they arrived at the capital of the kingdom of Cassina. Since, however, the secrets of God are inscrutable, it so happened that, though the malignity of the water there, the above-mentioned Father Prefect grew sick, being attacked with the swelling of the whole body, and in eight days gave up his spirit to God. On hearing this, the king of that kingdom, then dwelling at Cassina, had him strip of everything that he possessed. Father Sevarino di Silesia, his companion, seeing everything thus wrongfully taken away, presented himself before the king, and told him that those clothes were his property, that which his deceased companion had, being not his own private property, but in common; he therefore begged him to make restitution; hereupon the king answered, "If you desire me to do this, turn Mahommedan as I am." The missionary declined this proposal; upon which the king rejoined, "Begone then, and for they deeds thou shalt die like they companion." In fact, within two or three days, he fell sick of the same infirmity as the prefect, and in the course of eleven days, he also gave up his spirit to his Creator.

The whole of this account we received from a Moorish merchant, a native of Tripoli in Barbary, named Hadjie Milleit; he gave it us with an air of compassion, having been the faithful companion of these fathers from Tripoli to Fezzan, and from Fezzan to Agadez. The tidings of their death, with all its circumstances, he received from a merchant who accompanied these fathers form the kingdom of Agadez to the kingdom of Cassina, and who, out of ten that set out on that journey, was the only one that did not perish by this sickness, he having escaped by the will of god, that he might bear the tidings of the unhappy end of these religious. He further informed us, that in the said kingdom of Cassina the sickness has always existed, in consequence of the badness of those waters - those who are not accustomed to them dying infallibly upon drinking them; those therefore who wish to trade there negociate with the caravan of Agadez, and go on no farther. He also stated that all foreigners dying in Cassina are not interred, not even the richest merchants, but are carried out into the country and left a prey to the wild beasts.


1850 Filippo da Segni: trip to BornoBolletino della Società Geografica Italiana, 4:1 (1870), 137-150

Nel 1849 io, Padre Filippo da Segni, Minore riformato, partiva da Roma per la missione di Tripoli in Barberia. Colà dimorando, ho udito sovente parlare di alcuni cattolici viventi nel Sudan i quali desideravano un missionario per soddisfare ai precetti di religione, e deliberai di andare ad essi, sebbene il viaggio fosse lungo e pericoloso. Pensai che viaggiando per un fine buono, il Signore mi avrebbe ajutato. Tutto era pronto per la partenza; ma era necessario aspettare l'occasione di qualche carovana, non potendosi viaggiare per quei luoghi da solo, o con poche persone. Essa non tardò molto a presentarsi propizia: una carovana, cioè, venuta dal Bournou, doveva dopo pochi giorni ripartire per il Sudan: era composta di circa centodieci Mori, tra' quali ha la precedenza, cioè fa da capo, quello che ha più mercanzia. La carovana aveva duecento camelli carichi delle merci, che dall'Europa si portano nell'interno quasi in cambio di quelle che dall'interno vengono a Tripoli; le africane consistono in denti di elefante, pelli di animali, arena di oro, campeggio, erbe medicinali, incenso, gomma, lavori in avorio, cuscini di pelle colorata in molte forme, ova di struzzo, di tigri, scimmie di diverse specie, pappagalli di vari colori, ed animali volatili e quadrupedi; le europee sono armi, tele, cotoni di diversi colori, carte, frutta, giuocattoli, gingilli di cristallo e conterie, che in gran quantità vengono a Tripoli da Venezia, o da Trieste. Il capo della carovana fissa il giorno della partenza e tutti i Mori dispongono le loro cose per caricare i camelli: ad un'ora precisata tutta la carovana deve trovarsi fuori della città.

Fatta parola al capo della mia intenzione di viaggiare colla sua carovana, egli rispose che non voleva condurmi: allora interposi il console francese, e questi pure ebbe la negativa. Andammo entrambi dal bascià, ed egli, fatto chiamare il capo della carovana, gli disse che facesse il deposito di 100 mahabub (quasi cento scudi), e conducesse al Sudan me ed il mio compagno, che era un moro cattolico; soggiunse poi che al mio ritorno avrebbe riavuto il denaro, e che intanto suo figlio ed il denaro resterebbero a Tripoli, e se io non tornassi, il denaro sarebbe perduto, ed il figlio fatto soldato. Il bascià scrisse poi due lettere, una per Mourzouck e l'altra per Bournou, e me le consegnò. In esse raccomandava a quei suoi amici o dipendenti di adoperarsi pel mio ritorno nel caso che il capo della carovana non ne avesse trovato altra che partisse per Tripoli. Il capo diceva di non avere le 100 mahabub; il bascià gli ingiunse che lasciasse in deposito un equivalente in mercanzia, al che opponendosi il capo, il bascià bruscamente disse al dragomanno: mettete in carcere il padre e il figlio, e chiamate un altro della carovana. Quando vidde che il bascià minacciava davvero, lasciò parte della mercanzia col figlio (il quale però doveva rimanere in Tripoli per negoziare e terminare altri suoi affari); poi volgendosi a me, disse: quanto mi date perchè vi conduca al Sudan? Io non sapeva che rispondergli, ma il bascià rispose per me, e gli disse: quando sarà tornato, vi darà un fucile a due canne; ed il capo conchiuse: ebbene, preparate i vostri camelli, che dopodomani al calare del sole, partiremo. Il bascià replicò: attendi a custodire quest'uomo, altrimenti perderai la mercanzia ed il figlio, ed a te sarà tagliata la testa. Ossequiato il bascià, sortimmo dal castello.

Ritornato all'ospizio, informai i compagni missionarii, che tutto era combinato. Restavano a trovarsi tre camelli ed a preparare il necessario: fui provveduto dell'occorrente, cioè di biscotti, bottiglie con acque e spirito ed altre cose necessarie al vitto, di arredi per la messa, e di effetti per doni. Il camello destinato a me aveva sul dorso il gran basto con le aste che reggevano il tendone, ed un materasso su cui poteva sedere o star coricato; gli altri due camelli erano carichi dell'occorrente, e ne aveva cura il mio servo moro, che si chiamava Fedele. Prima della partenza il capo della carovana osservò i tre camelli ed il loro carico. La carovana era tutta riunita, e composta di più di cento mori la maggior parte armati di fucili e spade, e d'oltre ducento camelli.

Il giorno 20 gennaio 1850 al calare del sole, ci mettemmo confusamente in viaggio, e marciammo tutta la notte. All'apparir del giorno io aprii un poco la tenda, e vidi che eravamo in una gran pianura di sabbia: molto lungi osservai alcuni monti con alberi di ulivo e di palme, e la sera fummo ad essi vicini. Si continuò il viaggio tutta la notte seguente ed il giorno appresso, non vedendo altro che monti verdeggianti, con buoi, capre e pecore, ma la pianura era sempre arida. Il terzo giorno eravamo a Meslata. Io era già stanco; la carovana però proseguì tutta la notte susseguente il cammino, e soltanto al far del giorno si fermò e scaricò i camelli. Mangiammo, e facemmo mangiare, e abbeverare anche i camelli, essendo non molto lungi un ruscello: di acqua furono pur riempite le nostre bottiglie vuotate durante il viaggio: tutto quel girono si riposò.

Al tramonto fu dato il segnale della partenza, ed il girono seguente la carovana era alle falde di un monte stato sempre in vista per tutta la giornata. Si camminò la notte, e il dì seguente verso mezzodì passammo per un bosco, che fu subito traversato, e la mattina appresso si fece sosta ad un piccolo monte, ove era verdura, e mi fu detto che non molto lontano vi era un paese chiamato Faun. seguitò il viaggio per altri sette o otto gironi fino a Mourzouk in gran pianura di sabbia con qualche intervallo di monte e bosco. Domandai per qual motivo la carovana non si fermava in qualche villaggio, e mi venne risposto, che nol faceva per timore di essere aggredita dai Beduini. In questa fermata vidi un arco ricoperto fino alla metà di sabbia; e dalle lettere di una inscrizione, benchè rovinata, si conosceva che era opera degli antichi Romani.

Di buon mattino arrivammo a Mourzouk, si fermò la carovana, e le mercanzie furono tutte poste in un recinto con i camelli. Io desiderava riposarmi; ma essendosi sparsa la voce che era arrivato un Sacerdote cattolico, molti cristiani, e fra gli altri un certo Francoviggi, vennero a trovarmi, ed entrai con essi nell'abitato. Mourzouk si può chiamare città, perchè è popolata assai, ed è circondata di mura: è sopra una collina verdeggiante di palme, di ulive e di altri alberi; ve è qualche torre di moschee, ed un piccolo castello ove risiede il Bey, ossia governatore, dipendente dal Bascià di Tripoli. Le strade non sono affatto diritte, le case sono basse, e di un solo piano; fontane non vi sono, ma bensì pozzi. Si vedono ancora giardini con limoni, e moltissimi alberi di palma. Alcuni cattolici gareggiavano nel condurmi ognuno a casa sua. chiesi di presentare la lettera del Bascià di Tripoli, e giunto al castello, fui introdotto. Consegnai la lettera, ed il Bey mi fece mille esibizioni, domandandomi se il mio viaggio era state felice, o se aveva ricevuto alcuno affronto: risposi di no. Egli però me sconsigliava dal partire per il sudan, perchè questo viaggio era assai pericoloso, in ispecie per gli Europei; ed aggiunse che giorni addietro erano giunti in paese due europei, uno dei quali era morto, e l'altro voleva seguitare il viaggio per il Sudan, e forse si sarebbe unito alla nostra carovana. Mi animò poi perchè in qualunque bisogno andassi da lui, e mi chiese se portava cose belle dall'Europa. Risposi che nulla aveva di ricco, ma solo cose usuali dei costumi Europei; ed egli interrogò se portava armi. Credo di tenere un bel revolver, risposi, e domani lo darò. Restò molto contento, ed un maltese che era venuta meco dal Bey, volle assolutamente condurmi in sua casa, ove ebbi molta ospitalità. Il castello è un ammasso di case riunite, e domina il paese: io non vidi cannoni nè sul castello, nè sulle mura.

Il girono appresso si unirono le poche famiglie cattoliche, e fecero le loro divozioni: per tre giorni dissi la messa. Il Bey mandò da me un dragomanno a rammentarmi la promessa di dargli il revolver: allora apersi la cassetta ove i miei compagni missionarii avevano messo molti oggetti da regalare al Sudan, trassi uno dei due revolver, che v'erano, e lo portai al Bey, che resto meravigliato al vedere quest'arme, che era di prima invenzione, e mi disse che anzi il partire, andassi da lui che mi avrebbe dato una lettera pel Sudan.

A Mourzuk la carovana si trattenne 4 giorni. Prima di partire tornai dal Bey, che mi consegnò una lettera diretta a quella stessa persona al Bournou, cui aveva scritto il Bascià di Tripli; me ripetè che il viaggio per il Sudan era assai pericoloso, e mi licenziò. Al tramonto del sole, io era di nuovo in viaggio pel Sudan. Camminammo tutta la notte, ed al far del giorno eravamo in un mare di sabbia, senza monti od alberi: solo si vedevano struzzi, gazzelle, e certi promontori di sabbia alti un uomo con un gran buco nel mezzo, ove brulicavano milioni di grosse formiche. Una volta sulla sera udissi da lontano come un rombo di tuono, l'aria si addensava, ed il vento elevando tutta quella sabbia minutissima, chi era al fine della carovana per la densità della nube, non ne vedeva il principio. Tutti si fermarono, furono scaricati i camelli, e messa la mercanzia insieme, si fece un circolo dei camelli: noi eravamo nel mezzo, salvo alcuni che perlustravano col fucile. Il vento sempre più infuriava, e la sabbia entrava nella bocca, negli occhi, nel naso, nelle orecchie, e si aggiungeva tal caldo da togliere il respiro.

In quella notte credei di morire, mi coprii con una pelle di montone, e mi coricai sulla terra. Era per farsi girono quando si senti un gran tuono, e subito venne un'acquazzone così impetuoso e sì forte, che durò quasi tutta la giornata senza cessare. A me si gonfiarono gli occhi, provai acutissimo dolore di testa, ed ebbi una forte costipazione e reumatismo per tutto il corpo. Continuando il viaggio nel gran deserto, soffersi un caldo non già di sole, ma di forno ardente, e mi raccomandai l'anima a Dio. Dopo sei giorni la carovana si fermò alle falde di un monticello presso un piccolo ruscello. Il capo a trovarmi, e vedendomi più morto che vivo, e cogli occhi gonfi, egli stesso mi curo; fece tagliare un frutto che in quel luogo si trovava, e ne applicò la metà per occhio: in poche ore fui guarito. Il luogo di questa fermata era ameno, verdeggiante di alberi grandissimi e di praterie: ve erano molti pappagalli, un piccolo lago con molta erba lunga entro ed intorno: si vedevano molti animali anche quadrupedi. Un moro mi disse che quegli animali aspettavano che un rinoceronte mettesse entro l'acqua il suo corno, onde purificarla dal veleno, e quindi ne avrebbero tutti bevuto senza alcun timore. il non prestai fede al moro, perchè superstizioso. Dopo un giorno di ripose, sempre estenuato di forze, rimontai sul camello: il caldo toglieva il respiro: mi venne una febbre così forte che non intendeva più nulla. Fedele montò sul mio camello per assistermi, ma egli stesso credeva che morissi. Fermatasi la carovana a Bilma, io non voleva, e non poteva più continuare il viaggio. Fu chiamato il capo, che vedendomi così mal ridotto, fece portarmi una bibita fatta in questo modo: si buca in alto un albero di datteri, vi si pone una foglia che serve come imbuto che raccoglie il succo che scaturisce: questo si mette in un vaso, e si beve subito; se posasse un giorno, inaciderebbe. Ne fui un poco rinfrescato.

Il giorno seguente partimmo da Bilma con un caldo soffocante. Alla mattina del quarto giorno eravamo in mezzo al deserto, e la carovana si fermò. Ivi erano pochissimi alberi di palme: vi era però un gran pozzo fatto a scarpa, a cui si scendeva col camello, e si prendeva acqua che assolutamente non si poteva bere, senza mescolarvi spirito, ovvero acquavite. Nell'arcata del pozzo si vedono pietre di epoca romana. Mentre eravamo fermi vicino al pozzo, si vidde in lontananza una carovana che veniva verso di noi, ma era assai più piccola della nostra. Alcuni negri proposero di derubarla, e già si erano preparati a ciò fare, ma nol fecero, perchè il capo avertì che era con lui un cane, alludendo a me, ed egli esponendolo a pericolo, avrebbe perduto le mercanzie depositate in Tripoli. Però la piccola carovana temendo di noi, seguitò pel deserto. Noi riprendemmo il cammino pel Bournou. La terza sera udimmo canti e suoni: eravammo già in paese popolato: si marciò la notte, ed a mezzo giorno eravamo presso Bournou. Molti negri e negre si fecero intorno alla carovana cantando e battendo un tamburo scordato, e ci accompagnarono con tale musica e danza fino all'ultima fermata. giunto a Bournou feci ricerca della famiglia cattolica, che era pur essa chiamata di cani. Abitava poco lontano dal punto della nostra fermata: un giovane cattolico di quella famiglia venne, e mi condusse in sua casa con Fedele ed i tre camelli. I due vecchi genitori ed i figli erano esultanti di vedere fra loro un Missionario cattolico: mi prodigarono molte gentilezze, e vedendomi mal concio, mi fecero prendere ripose. Marito e moglie nella loro gioventù erano al Bengazi: avanti la loro casa era caduto un negro, e si era rotto una gamba: essi l'avevano raccolto e curato fino a perfetta guarigione. Il negro fu grato, e volle condurli a Bournou, e vi giunsero con lui, che li tenne in casa sua per alcun tempo, ed in seguito loro diede un'abitazione e bestiame: vivevano discretamente, ed erano rispettati da tutti, perchè il negro diceva delle buone loro azioni. Più volte formarono disegno di ritornare al Bengazi, ma ricordandosi del lungo viaggio e delle pene sofferte, ne dimisero il pensiero, e stabilirono definitivamente di vivere fra i negri, conservando la fede cattolica, ed istruendo nella santa nostra religione i figli. due di questi oltrepassavano i venti anni; ma non avevano mai voluto ammogliarsi colle negre.

La popolazione di bournou è moltissima; le case sono capanne di fango rotonde, quadrate o quadrilunghe, ed hanno una sola apertura o porta: al di fuori un fosso circonda la casa, e nell'entrare si scende uno o due metri: ivi abitano i negri. Avanti, e sopra le case, vi sono corna di animali, teste di serpenti, di scimie et altre. La città in complesso sembra un labirinto intersecato da case, alberi e siepi; le strade sono storte, e senza selciato: quando piove, è tutto fango. Di animali ve ne sono moltissimi, e di tutte le specie. I negri vanno quasi ignudi, e ne ho veduti molti anche senza la camicia; le donne portano una specie di camicia rozza aperta assai al collo, e di lunghezza fino al ginocchio: di queste ancora ve ne sono affatto nude. I maschi sono assai precoci in natura, e le negre all'età di dieci anni sono già madri. Quando nascono figli, si riuniscono molti negri e negre e fanno festa al neonato, con canti balli ed urli, dando ancora dei colpi sopra una pelle congegnata in un tubo, che somiglia al colpo di gran cassa dei concerti militari. Spesso vedeva i piccoli negri e negre che avevano in viso tre o quattro sgraffiature per guancia che erano già guarite, ma i segni erano rimasti: domandai quale era la causa di tali segni, e mi fu risposto che questi moretti erano da vendersi, e le madri facevano tali segni al figlio, confidando che se coll'andar del tempo fossero ritornati, con quei segni li avrebbero riconosciuti. L'onestà, la modestia non si conoscono; la disonestà pubblica è usuale; e credo che siano più invereconde le negre che i negri. Gli ammogliati per piccoli motivi si separono: le loro unioni adunque si possano chiamare concubinati: sono però assai prolifiche. Abbandono i negozianti, che prendono a se le piccole creature, le nutrono come fossero animali, e poi le vendono. I negri si cibano non solo di carni di bue, montone e pecora, ma ancora di scimie e di volatili, che sono in gran quantità. la terra è verdeggiante di alberi grandissimi e di erbe: vi sono qualità di frutti, che non ho mai veduti in Europa: se non abbondassero le piante, si vedrebbero tutte le abitazioni sparse in questo territorio, che si potrebbe chiamare un regno tutto abitato. Ve è ancora un grandissimo lago, che ha alcune isolette nel mezzo, ed alle rive ha case abitate. Se questa posizione fosse in Europa, sarebbe un luogo di delizie. I cacciatori hanno strumenti adattati alle diverso caccie di elefanti, zebre, rinoceronti, tigri ecc., animali che ivi abbondano. I pezzi di cristallo e le conchiglie di mare hanno valore di cambio e commercio. Ogni giorno si tiene gran fiera, ove si provvedono i mercanti di oggetti che portano alle coste del mare, cioè di pelli, di avorio, ossia denti di elefanti, di animali d'ogni specie, insomma di tutto ciò che si trova nel centro.

Al Bournou feci ricapitare le due lettere, si quella del bascià di Tripoli che quella del bey di Mourzouk; ambedue dirette ad un arabo da molto tempo dimorante colà. Qualche giorno dopo egli venne a trovarmi; mi richiese se mi occorreva alcuna cosa, mi disse che fra pochi gironi una carovana sarebbe partita per Tripoli, e mi consigliò di far visita al gran governatore del luogo, ossia al re, offrendosi a condurmi egli stesso. La mattina seguente presi i più belli oggetti da regalare, li consegnai al giovane cattolico, ed unitamente a Fedele mi unii all'arabo, e ci portammo a far visita al re. fui prevenuto delle cerimonie di costume.

La residenza del re è nel centro della città, e la sua casa non è molto disuguale dalle altre abitazioni; ma è più vasta, ha molti recinti ai lati, e tutti coperti. All'ingresso del primo recinto trovai una ventina di negri, che non permettono di entrare se non viene l'ordine del re recato da un suo servo. Con esso si entra al primo recinto, ove sono molti negri e negre che cantano al loro costume, e battono il tamburo scordato. Finito il canto, ballando e saltando ci condussero al secondo recinto. Appena entrati, trovammo molte negre tutte giovani, le quali cantarono, e nel tempo stesso una per una mi asperse con acqua assai odorosa. Fummo poi accompagnati avanti la residenza del re. Ivi ci fecero levare le scarpe, e scalzi entrammo. Egli sedeva sopra un gran cuscino, aveva una fascia di oro in fronte con due bellissime piume dritte sopra la testa, ed una tunica corta, ma ricca assai. Sembrava di cinquant'anni; era circondato da negre e piccoli negri. ci fu imposto di prostrarci a terra alla sua presenza; egli ci toccò con il suo bastone d'avorio sulla testa, e ci fece rialzare. Mi dimandò qual era il motivo per cui era andato a trovarlo: gli riposi per ammirare la sua grandezza. Mi domandò se aveva portato il tributo, ed allora gli diedi il revolver, mostrandogli come si caricava e si esplodeva, alcuni pomi di cristallo con entro variate figure, infine una piccola cassetta con un cristallo a lente, e varie belle vedute che si potevano cambiare a piacere. di questa restò meravigliato più assai che celle altre cose, dicendomi che era tutta opera diabolica. Io gli soggiunsi che era una cosa semplice e naturale, e gli feci vedere come poteva osservare una per una tutte le prospettive che vi erano. rimase assai soddisfatto, e mi disse che restassi pure nel suo paese a mio piacimento. Di nuovo ci fecero stendere per terra, ed al tocco del suo bastone ci rialzammo, e fra gridi, balli e canti sortimmo dalla reggia. Ringraziai l'arabo. Io, Fedele e Paolo (così nomavasi il giovane cattolico) ritornammo alla nostra abitazione.

Nei venti gironi che dimorai in Bournou ho sofferto di dissenteria, e per guarirla mi fecero mangiare certi frutti acri che somigliano alle piccole cocuzze, e questi furono sufficienti a farla cessare. Cercai di adempire il mio dovere come missionario colla famiglia cattolica, ed essa fu premurosa di prestarmi servizio. Finalmente venne l'arabo col capo della carovana ad avvisarmi che il giorno seguente la carovana partiva per Tripoli. Dissi subito a Fedele che disponesse le mie cose per la partenza. La stessa famiglia che mi alloggiava, e nomavasi Lanson, oriunda di Malta, si dette tutta la cura di provvedermi del necessario per il viaggio, benchè mostrasse più desiderio che io mi trattenessi. Avrei atteso ancora onde riposarmi e guarire bene prima di rimettermi in viaggio; ma al riflesso che non ve fossero più carovane in quella stagione, risolsi di non indugiare. La mattina spari Fedele senza poterlo più trovare: io ne era dolente, pensando che nel viaggio niuno mi avrebbe assistito, e governato il camelli. Paolo e Carmelo suo fratello mi si offersero con piacere a compagni, ed i loro genitori acconsentirono volentieri; anzi, se il viaggio non fosse stato tanto pericoloso, sarebbe venuta tutta la famiglia, abbandonando il Sudan. La carovana era più piccola di quella cui era venuto; l'arabo mi consegnò una lettera per Mourzouk ed un'altra per Tripoli, e partimmo accompagnati quasi l'intiera notte da negri e negre che cantavano e ballavano. Nel ritorno le fermate erano più rare, facendo questa carovana lunghe corse, la più piccola delle quali era di cinque gironi. A Mourzouck ci fermammo un girono solo, benchè il desiderassi di rimanere di più, avendo di nuovo le febbri. Ripreso il cammino, giungemmo a Tripoli, e ciò fu nel mese di aprile dell'istesso anno. I miei compagni missionari si presero cura di me, di Paolo e Carmelo, e diedero il fucile promesso al capo della carovana. Io mi posi a letto malato colla febbre, ma dopo 15 giorni incominciai a ristabilirmi.

Paolo e Carmelo dimorarono con noi. Il primo sposò una tripolina; dipoi Carmelo sposò una vedova maltese che non aveva figli. Entrambi attivarono un piccolo commercio, e vivevano abbastanza bene; avevano desiderio di fare venire a Tripoli la famiglia, e se l'abbiano fatto, non lo so, perchè io ritornai a Roma.

P. Filippo da Segni, M. Riformato